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GRAHAM NASH - SONGS FOR SURVIVORS

Ho letto recentemente un articolo dei primi anni 2000 che diceva che “questi signori più invecchiano e più migliorano”. Questi signori sarebbero Crosby, Stills e Nash. Quando l’ho letto ho pensato al disco Crosby & Nash del 2004 e mi sono detto che era vero in qualche modo. Poi, qualche giorno fa, ho acquistato Songs For Survivors, album di Graham Nash uscito nel 2002 e mi è tornata in mente quella frase.
Questi signori sono tornati all’essenza espressiva e compositiva, superando le artificiosità del periodo di metà carriera. Superati cioè gli anni ’80 e il nuovo rock dei primi anni ’90, questi cosiddetti hippie hanno ritrovato il loro sound senza bisogno di aggiungere niente, se non arricchendolo con moderni ma dosati arrangiamenti persino più pregnanti di quelli d’un tempo. Ad esempio grazie alla collaborazione con nuovi talenti, diretti eredi della loro musica, in grado di fornire nuovi input artistici (Pevar e Raymond, con cui Crosby ha fondato il progetto CPR).
Anche dal vivo le chitarre e la band fanno un lavoro straordinario, le loro voci sono più rauche, più incisive e più sagge. Le nuove composizioni non sono dissimili a quelle vecchie, che prendiamo come riferimento, e si lasciano alle spalle con gioia gli errori degli scorsi decenni, chiudendo una sorta di cerchio.


Songs For Survivors è l’ultimo lavoro discografico – per ora – del solo Graham Nash (ma in realtà vanta diverse collaborazioni al suo interno, tra cui l’immancabile David Crosby), registrato nel 2000 e uscito due anni dopo. Sembra che Nash abbia tenuto il meglio della sua produzione recente per sé, anziché concederlo per Looking Forward, il debole ritorno di CSN&Y di qualche anno fa. Sembra infatti che questi signori diano il meglio, almeno in studio, quando si separano ognuno per la propria strada.
Survivors è un album da ascoltare attentamente, testi sottomano. “Dirty Little Secret” è una denuncia storica, “la violenza razziale al suo peggio” come dice Nash (nelle note alla canzone in Reflections, il suo box set antologico). Una partenza trascinante che scivola poi in “Blizzard of Lies”, piacevole ballad. “Lost Another One” è probabilmente uno dei pezzi più significativi, dove Nash (parlando per tutta la sua generazione) fa i conti con l’incedere del tempo e lo scomparire dei vecchi amici: “All along we thought we’d do another show / and write another song, but I guess we’ve lost another one”. Riflessiva e malinconica, ma non facilmente triste, anzi melodicamente trascinante, in un binomio molto ben riuscito che porta il marchio del suo compositore.
“The Chelsea Hotel” è una delle gemme, oscura, introspettiva, ricca d'immagine. Qui Nash cita James Raymond: “is writing of poets and painters […] / a lover of his art, a lover in his heart”. Gli episodi successivi, “I'll Be There For You” e “Nothing in the World” sono su tematiche romantiche e scorrono abbastanza indifferenti. Decisamente meglio “Where Love Lies Tonight” che rinnova la medesima tematica.
Ma è l'ultima parte dell'album a regalarci i momenti più alti: “Pavanne” (cover di Linda Thompson) catapulta l'ascoltatore indietro di trent'anni con una melodia chitarristica da brividi e bellissime armonie vocali. “Liar's Nightmare” è un pezzo piuttosto estraneo dallo stile di Nash, un lungo (oltre 8 minuti) incedere prosaico che si avvicina molto a certe cose di Young (su Reflections è presente in versione live e acustica, ma questa incisione originale è perfetta). Nash afferma di averlo scritto sotto sedativi dopo un’operazione al ginocchio, riprendendo una vecchia melodia degli anni ’50, peraltro ripresa anche da Dylan.
In chiusura la dolce “Come With Me”, classica e concisa. Songs For Survivors contiene decisamente più di quanto faccia intendere il titolo, e lo consiglio davvero agli estimatori di questi signori ormai anzianotti. In Reflections si può trovare una out-take dell’album, “We Breathe The Same Air”.

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