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ONE FAST MOVE OR I'M GONE: KEROUAC'S BIG SUR



Il romanzo Big Sur è incentrato sul periodo trascorso da Jack Kerouac in una capanna di proprietà di Lawrence Ferlinghetti vicino alla spiaggia californiana di Big Sur, nell'estate del 1960. A fianco di Sulla strada e qualche altro titolo, Big Sur è tra i suoi romanzi più noti. Nel 40° anniversario della scomparsa, il mondo ha ricordato il grande scrittore in molti modi. Uno di questi è stato la realizzazione di un documentario sul periodo vissuto a Big Sur, la cui colonna sonora è stata composta da due chitarristi che alla vita di Kerouac si sono sempre ispirati. Ben Gibbard e Jay Farrar (leader dei Death Cub For Cutie il primo, dei Son Volt il secondo) hanno concepito l'album One Fast Move Or I'm Gone, titolo anche del documentario. Letteralmente significa “Mi do una mossa o sono finito”: frase nella quale è riassumibile il pensiero di Jack in quei giorni.
Le dodici brevi canzoni del cd (complessivamente 39 minuti di durata) colgono appieno lo spirito naturale e solitario della selvaggiacosta californiana e delle parole scritte da Jack. Hanno un sound estremamente folk (chitarre rigorosamente acustiche e slide, molto vicine a certi sound di Neil Young) e il giusto sapore meditativo. Anche il paio di brani più veloci, che riportano ad atmosfere più “on the road”, hanno risvolti in minore che suggeriscono proprio quei viaggi con il pensiero che Kerouac faceva nell'immobilità di Big Sur, ricordando giorni del passato.
“California Zephyr”, “Low Life Kingdom”, “Willamine”, “Big Sur”, “One Fast Move Or I'm Gone” sono le gemme dell’album. Lo spessore dei brani è notevole, l'uso dei testi di Kerouac (tratti da Big Sur e dalla poesia Oceano in chiusura al romanzo) è magistrale. La prosa di Kerouac è poesia e le parole sono suono. Ma questo non rende le cose più semplici a chi tenta di metterle in musica: il rischio è di essere scontati, specialmente se si è coscienti della semplicità del genere. Cercando a tutti i costi di non essere scontati, l'altro rischio è di uscire dalle righe e smarrirsi in qualcosa di inadeguato. L'equilibrio del genere è più delicato che mai quando si tratta di creare musiche per un contesto da cui non si può sviare. Per non parlare di un contesto che tratta e sfrutta Kerouac, tra archetipi di viaggio, libertà, isolamento, depressione e creatività. One Fast Move Or I'm Gone non si smarrisce per strada e riesce nell'intento. Jay Farrar scrive nelle note dell’album: “Queste canzoni per la gran parte sono state scritte nell’arco di 5 giorni con revisioni minime. Spero che per Jack sarebbe stato ok avere queste canzoni attorno al fuoco…”


Il film, diretto da Curt Worden, è la prima produzione della Kerouac Films, gestita dal nipote di Jack Kerouac. Sicuramente un progetto interessante, soprattutto in quanto indipendente. Il documentario One Fast Move Or I’m Gone: Kerouac’s Big Sur ci illustra la vita di Kerouac in un periodo generalmente lasciato da parte dagli innumerevoli documentari e retrospettive sul Re dei Beat. Il Jack di Big Sur è notevolmente diverso, anche nelle notti a San Francisco, e il film cerca di farcelo capire ricostruendo la sensibilità del Jack uomo e scrittore. Sicuramente qualcosa che mancava e che era dovuto. Il film si snoda attraverso quei mesi dell’estate 1960 che ci vengono raccontati sia da una voce narrante che legge passi di Big Sur, sia dai testimoni diretti e indiretti di Jack e della sua epoca, che ripercorrono i giorni e i luoghi in cui si è svolta la storia. In primis Lawrence Ferlinghetti, ultimo superstite del gruppo Beat, con il quale Jack è rimasto in contatto soprattutto negli anni 60, durante la decadenza, proponendo libro dopo libro alla City Lights, storico editore di narrativa beat di proprietà appunto di Ferlinghetti. Appaiono anche Carolyn Cassady, moglie di Neal e amante di Jack, e i figli che ha avuto con Neal. Attori, scrittori, poeti contemporanei – tra cui Tom Waits e Patti Smith – completano il quadro, a testimoniare l’influenza e il potere delle parole di Jack. Uno degli aspetti interessanti è che il film si preoccupa proprio di questo, cioè non di “raccontarci” Jack a livello biografico, ma di parlarci della sua scrittura, con particolare riferimento al romanzo Big Sur, aiutandoci a comprenderne il pieno significato che ha avuto per Jack, e l'eredità che ha lasciato, sia artistica che sociale.
La cura amorevole nei confronti del progetto, sia l’album che il documentario, trapela anche dal digipack contenente i due supporti. L’ampio booklet interno presenta le note del regista e dei produttori del film, di alcuni personaggi chiave nel racconto di Jack, e del musicista Jay Farrar. In aggiunta, fotografie e disegni e la riproduzione di una pagina dattiloscritta da Jack tratta da Reflections on Big Sur, 1963. Davvero un gioiellino che vale l'acquisto.
Rimando infine a una breve intervista a Ben Gibbard apparsa su Il Messaggero.







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