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P. K. DICK: NOI MARZIANI (MA SONO I TERRESTRI I VERI ALIENI)



Romanzo denso come pochi altri, costruito sulle idee prima ancora che sulla trama, Noi marziani (scritto nel 1962) è tra le pietre miliari di Philip K. Dick e di tutta la fantascienza sociologica.
Manfred è un bambino autistico e, dopo il suicidio del padre, finisce al centro delle attenzioni di Kott, uno dei capi della colonia terrestre su Marte. Kott è convinto che l'autismo sia una condizione alternativa di esistenza, in un tempo diverso, che isola l'individuo dagli altri nel tempo comune. Riuscire a comunicare con Manfred significherebbe per Kott poter prevedere le mosse dei concorrenti, interessati alla speculazione edilizia su Marte. Nella colonia marziana si innescano passioni, rivalità e interessi tra i vari personaggi e il romanzo, come spesso accade in Dick, si districa tra diversi punti di vista: Kott, Bohlen (il suo nemico), Jack (ingegnere figlio di Bohlen), lo stesso Manfred (che vive in un non-luogo dai tratti onirici dove tutto è decadente).
Va detto subito che la colonia su Marte, nel suo essere un mondo chiuso e di frontiera, è in realtà un mondo speculare al nostro, terrestre e più che mai reale. Se cancellassimo la parola “Marte” da questo romanzo non cambierebbe granché. Dick realizza una letteratura ibrida, cogliendo le opportunità e gli elementi forniti dalla fantascienza (con cui riesce ad avere successo) per parlarci di questioni umane e profonde, esorcizzando i propri demoni. Noi marziani, in questo senso, è un magnifico esempio di come sfruttare uno scenario accattivante, di genere, per discutere di tematiche universali tipiche della narrativa umanistica.
A cosa si deve il grande impatto di questo libro? Innanzitutto alla consueta, pungente critica alla società moderna. All'inizio della storia, il suicidio del padre di Manfred genera nel prossimo soltanto reazioni di seccatura per le conseguenze materiali negative che ha. Sempre all'inizio scopriamo che le risorse vitali, in particolare l'acqua, vengono monopolizzate generando disparità e conflitti d'interesse (è Kott a detenere il controllo delle riserve idriche, concedendole a suo piacimento). Dick non va tanto per il sottile nel ritrarre una comunità totalitaristica dove imperversa l'egoismo e il disprezzo, sebbene poi suggerisca (tramite la voce di un personaggio) che “forse possiamo imparare che c'è del buono in tutti, per male che agiscano”.
L'autore dipinge un mondo dove la schizofrenia è comune quanto oggi lo è lo stress, ed è tenuta sotto controllo da farmaci (di fatto droghe) il cui uso viene così legittimato. La psicosi collettiva ha le sue radici negli ambienti metropolitani oppressivi. A un certo punto Jack, personaggio che soffre di questa malattia, trovandosi nella scuola di Manfred dice: “Questa Scuola Pubblica è stata costruita per presentare ai bambini nati qui un ambiente stabile […]. Penso che […] stiate allevando un'altra generazione di schizofrenici: discendenti di gente che, come me, sta cercando di adattarsi a questo nuovo pianeta […], in un ambiente che per loro non esiste.”

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La Scuola Pubblica ha insegnanti robotici, androidi con le sembianze di personaggi storici che insegnano ai bambini nozioni accademiche. Dick prende l'idea abbozzata in L'androide Abramo Lincoln e la fa “diventare grande”, la trasforma in realtà (in questo senso i due libri potrebbero essere parte dello stesso universo narrativo). Ma questa “meccanicità” è sintomatica: delegare l'istruzione e la crescita dei bambini, anche da un punto di vista morale, agli androidi, legittima la superficialità e il disinteresse verso il futuro della comunità, perciò spiana la strada per il pregiudizio e la discriminazione.
La linea di demarcazione tra sanità e follia, nella comunità di Noi marziani, è confusa, più di quanto già non lo fosse in Redenzione immorale. Jack, che si pone come uno dei pazzi, dice: “se un bambino non reagiva come voluto, allora lo si etichettava come autistico: vale a dire, orientato secondo un fattore soggettivo che sopraffava il suo senso della realtà oggettiva. E quel bambino […] andava allora in un altro tipo di scuola, fatta apposta per riabilitarlo. […] Non lo si poteva istruire: lo si poteva solo trattare come un malato.”
È ovviamente il caso di Manfred, un “diverso” trattato appunto come un malato e destinato a restare al margine della società. I piani di Kott, anche se egoistici, confermeranno la teoria dell'autismo come una condizione di anomalia temporale, e ciò se non altro ridefinirà il ruolo di Manfred. Acquisita la capacità di spostarsi nel tempo, diventerà una figura fuori dall'ordinario, di fatto il primo, importante precognitivo dell'opera dickiana. Ma l'autore non approfondisce la carica messianica con cui investe Manfred: lo farà nel romanzo seguente, Cronache del dopobomba.
Se Manfred è il perno centrale del libro, sullo sfondo c'è almeno un elemento decisivo nella critica razzista: i Bleekman, gli indigeni marziani, trattati come schiavi, fin troppo esplicita riproposizione della schiavitù dei neri che ha segnato la storia americana e mondiale (non a caso Bleekman suona come black man).
Anche se riveste un ruolo minore, non manca nemmeno l'ossessione più ricorrente dell'autore nell'ambito della vita domestica: l'adulterio, qui commesso da Jack che, di fatto, potrebbe essere l'alter-ego di Dick all'interno del romanzo.

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