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KEROUAC: I VAGABONDI DEL DHARMA


Abbiamo già visto che, nel settembre 1955, dopo Città del Messico, Jack Kerouac si sposta a San Francisco per frequentare Ginsberg, Snyder e le altre figure della scena Beat locale (è qui che, in ottobre, si svolge il famoso reading dove Ginsberg legge Urlo). Ma è la convinzione buddhista ad animare i giorni e le notti di Kerouac e Snyder, che improvvisano anche un'escursione nella Sierra Nevada. In questo periodo Jack annota diversi haiku (poi raccolti nel Libro degli haiku).
Anche Neal Cassady fa la sua apparizione qualche volta, ma solo di sfuggita perché vive un brutto momento per via del suicidio della sua ragazza del periodo. Jack rimane in California fino a metà dicembre, poi parte per trascorrere il natale dalla sorella in North Carolina. La primavera del 1956 lo vede ripartire per la California, dove trascorre altro tempo con Snyder prima che questi vada in Giappone. Infine Jack parte per il Desolation Peak, la montagna sulla quale lavora come vedetta per gli incendi durante l'estate.
Questo è il lasso di tempo di cui parla I vagabondi del Dharma. Il romanzo tuttavia viene scritto solo un anno dopo, nel novembre 1957 in una decina di notti (che la leggenda, come sempre, vuole a base di benzedrina... ma lo stile di questo libro non sembra riflettere questo approccio). Jack scrive I vagabondi a Orlando, Florida, dove si è trasferito con la madre alla fine dell'estate. Sulla strada era uscito a settembre, e nell'autunno 1957 Jack va avanti e indietro tra Orlando e New York per lavorare con l'editore. Decidono poi di spostarsi a Long Island (New York), il luogo dove Jack inizierà il suo declino artistico e alcolico.
I vagabondi viene scritto, consegnato all'editore e pubblicato in pochi mesi, sulla scia appunto del fulmineo successo di On The Road. Ora Kerouac è un “vero” scrittore, ma soprattutto è il padre della Beat Generation, molti suoi romanzi (scritti negli anni precedenti e frutto di lunghe gestazioni) saranno ora pubblicati uno dopo l'altro. Ma I vagabondi, dal punto di vista editoriale, non colpisce come Sulla strada e riceve soprattutto recensioni indifferenti o negative. D'altro canto, succederà la stessa cosa per tutti gli altri.

Più ti avvicini all'essenza degli elementi, pietra aria fuoco e legno, amico, più il mondo diventa spirito.
Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma

Gary Snyder

Leggendo integralmente le opere di Jack Kerouac ci si accorge di come egli copra l'intero spettro stilistico tra la scrittura convenzionale e quella sperimentale (fino al limite della leggibilità, come in Visioni di Cody). Quelli che rientrano nella prima categoria, sorprendentemente, non sono soltanto i (pochi) testi d'inizio carriera, ispirati ai modelli letterari cari al giovane Jack (Wolfe, Mann, London, Hemingway). Anche diversi romanzi del periodo maturo (nonché dell'ultimo periodo, quello di crisi) vi rientrano: I vagabondi è uno di questi. La fluidità, la rilassatezza e la sicurezza della scrittura riflettono quella dell'uomo che scrive. La cosa non dovrebbe sorprendere conoscendo il contesto del libro, che vuole essere (per scelta) distante da quelli degli anni precedenti, tanto nella forma quanto nel contenuto. La forma fluida e tranquilla, priva di frenesia, non manca di stile personale, che trapela soprattutto negli ampi passaggi di osservazione. L'estrema sicurezza di Jack come scrittore, unitamente al sentito cammino buddhista, lo portano persino a una scrittura che, a tratti, può sembrare un po' piena di sé e pontificante (una delle critiche mosse al libro alla sua uscita). In realtà non lo è: riflette solamente un forte credo spirituale, delle cui rivelazioni Kerouac è ubriaco ed esaltato come un bambino. Tra monologhi e dialoghi, ogni sua esperienza è filtrata secondo questa nuova ottica: Jack trasuda il suo bisogno di espressione. Anche gli episodi di viaggio e le notti a San Francisco sono filtrati per rivelarne il loro lato contemplativo e spirituale. Il ritratto dei personaggi è speculare a quello proposto in I sotterranei o Sulla strada.
I vagabondi rappresenta dunque uno dei momenti più felici della vita di Kerouac; la sua prosa si tocca con mano, sfiorando la poesia nei passaggi migliori, svelando il paesaggio interiore di Jack e la sua sensibilità nei confronti della dimensione naturale. Questo importante aspetto (come sottolinea Mario Corona nell'introduzione dell'edizione Meridiani Mondadori) accomuna Kerouac alla grande narrativa americana a cavallo tra Ottocento e Novecento, che ha radici profonde nel paesaggio naturale americano delle origini (la wilderness è un elemento che la distingue da quella europea). Jack farà qualcosa del genere anche in Big Sur, ma il buddhismo intanto lo avrà già annoiato e deluso.
I vagabondi del Dharma termina con l'esperienza di Jack sul Desolation Peak come avvistatore di incendi. Il tratto con cui Jack la dipinge nella sua complessità ha un suo opposto nel romanzo Angeli della desolazione, che inizia parlando della stessa vicenda. In quel momento la beata contemplazione di I vagabondi è già un ricordo e ha lasciato il posto, in Angeli, a uno stream of consciousness attivo e variopinto, spesso confuso con il ricordo e il desiderio della scena metropolitana e i suoi vizi, piuttosto che della solitudine naturale tanto amata e odiata al contempo. Kerouac scrive i due libri in momenti diversi; in effetti è Angeli della desolazione (per la precisione, la prima parte) quello composto subito dopo l'esperienza e basato direttamente sui diari. I vagabondi viene scritto, come si è detto, alla fine del 1957 con la salda e orgogliosa mano di uno scrittore che finalmente è stato riconosciuto come tale, ed è una sorta di ponderata e soddisfatta ridigestione del vissuto di qualche anno prima. È anche il tentativo dichiarato di condensare in forma narrativa la sua ricerca e la sua posizione buddhista (dal 1954 Jack stilava appunti a riguardo, intitolati Some Of The Dharma). La differenza di approccio nel ritrarre la medesima situazione, in periodi diversi, è davvero interessante. Il Kerouac più celebre è ovviamente quello di Angeli, ma quello che davvero sorprende (anche solo per la sua unicità) è quello del Dharma.



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